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lunedì 30 luglio 2012

L'S-Bahn per Pasing ferma a Saxa Rubra


E così, camminavo lentamente verso la fine della banchina. Il treno non passava. C'era seduta sulla panchina una quarantenne stanca (del marito, della lavoro, dei figli, del mancato amante, di Monti, degli autobus) che leggeva un libro si scarsa qualità e intanto parlava al cellulare con qualcuno. Arrivo tra un po', qua ancora non passa niente. Più in là c'erano un paio di rumeni, e qualche lavoratore che aveva finito il turno. RAI, fabbrica, ospedale, vattelapesca: ognuno faceva (male) quel che poteva per tirare a campare (male).

Il treno non arrivava. Cercavo di salvarmi nel nervosismo, ma non mi riusciva bene. Avevo ceduto e qualche lacrima cominciava già ad affiorare. 9 Giorni di ritardo, annessi alla consapevolezza della possibilità reale il ritardo di prolungasse per altri 9 mesi. E ritornava, per motivi totalmente diversi, la disperazione nera, fatta di catrame e oleosa di Monaco. Quella percezione di totale impotenza, mancanza di alternative, inettitudine personale, zero fiducia in un futuro che il tempo di immaginarlo era già finito. E lei non rispondeva al telefono.
Poi il treno era arrivato: un ammasso di ferraglia vecchio, logoro, puzzolente, non lavato, pieno di schifosi copri sudati. Stipato, come solo un treno del 4o mondo - peggio di quelli per le bestie - sa essere. Ero salito, andando incontro al nulla. Ero di nuovo lui, il ragazzo con occhi lucidi, che la 27enne seduta poco più in là guarda tra compassione, curiosità ed interesse. Ma non potevo fare il ganzo: c'era un ritardo di 9 giorni.

***

9 giorni. Ed ogni problema precedente - gli orari dei voli per la Polonia - l'autobus da prendere poche ore dopo a notte inoltrata - il rinnovo o meno del contratto di lavoro - non è che paresse meno importante, urgente o pressante. Non esisteva più, risucchiata nella pece della disperazione. Ah certo, una nuova vita umana. Dare il senso alla propria, ed intanto rovinare quella di altri due esseri umani. L'idea non era tanto quella di essersi condannato ad un casino senza uscita, quanto quello di aver causato danni all'unica persona decente che s'era affacciata nella tua vita negli ultimi anni. Eppure c'eri riuscito. Con una vena distruttiva inapparente, mimetizzata. Con la forza del massacro tenuta a freno, ma che lavorava d'inerzia, smuovendo bancali senza che nessuno se ne rendesse conto se non a sacrificio ultimato.

E il momento in cui senti uscire dalla tua bocca "mi darebbe un test di gravidanza, per favore", non ci credi: non sei te il ragazzo in maglietta e con i capelli corti, non hai appena pronunciato quelle parole, non hai ricevuto uno sguardo serio, da uomo a uomo, da parte del farmacista, non hai pagato 12,70€ il modo per controllare se sei ancora vino o no,  e non sei uscito con nella busta l'oggetto che pare dover determinare i tuoi incubi futuri.

E lei ti guarda, ora non c'è più indifferenza, imbarazzo e un po' di livore invisibile, ma anzi, comprensione, quasi pena. La vittima sembra diventata te. E la situazione è ancora più penosa: non riesci nemmeno ad importi come carnefice: la tua debolezza comporta persino questi minuti grotteschi. Prendete il test e andate a casa sua. Lo leggi come fosse la bibbia, per capirne bene ogni forma di funzionamento: la linea di controllo, quella del nascituro, quanti secondi immergere, quando guardare, cosa fare, come suicidarsi.
E cominci ad odiarli quei cazzo di cattolici contro la RU486. Cominci ad odiare il fatto in Italia non sia dato per scontato si debba prendere la pillola. Sì, li odi quei pezzi di merda del PD e tutti i bigotti sanguinari, esteti del dolore altrui che pretendono tu non abortisca. Perché sì: ci pensi. È una possibilità. Ma non si possono risolvere le cose solo con settimane di notti insonni, la vita logorata, le viste mediche, le autorizzazioni da chiedere, le umiliazioni pubbliche e private ed un pillola da prendere per qualche giorno. No, vogliono il sangue. Vogliono metterti ferri dentro, voglio farti sentire uno schifo. Vogliono tu provi dolore, vogliono tu sia marchiata a vita, i cattolici, gli amici di Gesù, quelli che amano il prossimo loro. Vogliono tu soffra in ogni forma possibile.

***

Apro il blister. Lei è tornata dal bagno. Prendo, inserisco 10 secondi, richiudo. Sembra un termometro. Copro la zona dove apparirà il risultato: non ho la forza di guardare in diretta. Aspetto 3 minuti. Chiedo a lei che vuole fare, se vuole vedere lei. Se vuole faccia io. Lei non dice nulla, alza la rivista che avevo messo sopra. Il cuore rimane sospeso mezzo secondo. È negativo, una linea sola. Lo prendo, controllo meglio, e lo butto nel secchio.

martedì 10 luglio 2012

Dove vanno trovate le forze





Non scrivo da 20 giorni.

Il lavoro mi divora la vita, non dandomi nulla in cambio. Il lavoro succhia energia, toglie tempo per la lettura,  per la scrittura, per l'amore, per il sonno, per il cibo, per il vino, per il cinema e per la musica. Prosciuga persino l'indignazione, perché son troppo stanco per incazzarmi.

Da giovane, avrò avuto 7,8 anni chiesi a mio padre perché gli italiani non s'erano ribellati al fascismo. Oltre a ricordarmi che gli italiani erano un popolo di disonesti, approfittatori, vigliacchi, ignoranti, furbi, trasformisti, senza palle e via dicendo, mi illuminò, con la frase: "se le persone lavorano dalla mattina alla sera, quando staccano non hanno più la forza di ribellarsi, vogliono solo riposarsi".
E allora quando esco, morto di fatica, e devo prendere il maledetto autobus, sporco, vecchio, su cui a fatica riesco a salire, in cui la gente suda, puzza, non si lava, non paga il biglietto, ascolta musica a tutto volume (è l'inferno in terra), devo cercare in fondo all'anima la forza per incazzarmi. Per indignarmi. Per rivoltarmi, almeno moralmente contro quest'indecenza di città e di paese, di condizione sociale, economica e morale. Devo trovare la forza per incazzarmi per le condizioni contrattuali, per totale mancanza di coscienza altrui, per l'aggressività e la cafonaggine di chi dirige e la mancanza di carattere di chi subisce.

I compiti, i fardelli fissi, fiaccano l'immaginazione, la creatività, la forza, e quindi la libertà. Puoi solo sperare di non diventare come i lavoratori di Metropolis, che ciondolano avanti e indietro senza più nervi né vitalità, nella sola attesa del prossimo turno di lavoro. Puoi solo sperare di non abbrutirti ed accettare tutto, come fanno tutti, semplicemente sbuffando e guardando un culo ben fatto.

La tua libertà te la guadagni e la mantieni solo se riesci ad incazzarti, ed indignarti, ed ad usare violenza quotidiana contro la tua mancanza di coraggio.
Altrimenti è finita.
Altrimenti è finita.


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