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martedì 28 febbraio 2012

Quel che resta del giorno




E poi lei era scesa dalla macchina ed aveva preso la sua valigia. Si era girata verso di me, mi aveva abbracciato, aveva sorriso, aveva lasciato che le sue labbra s'offrissero per un bacio rapido. Delle 5 giornate passate insieme non rimaneva che un lungo abbraccio, qualche secondo, e l'attesa del prossimo. Che era alla volta sempre più lontano e ancora più vicino di ieri.

lunedì 27 febbraio 2012

Il vecchio polacco stava per attraversare la strada


Guardava avanti con aria seria e disincantata. I lavori pubblici attorno a lui fervevano ultimamente. Di più, nelle strade oltre ai compaesani che riconosceva dal rumore della camminata, incontrava sempre più spesso stranieri, studenti di altre città, turisti. Loro li riconosceva dalla lingua - che non riconosceva - e dalla parlata, sempre un po' su di giri e poco sobria, come se fossero parte di un film americano mal diretto.
Aveva esitato leggermente di fronte ai due ragazzi (francesi? tedeschi?) che stavano attraversando la strada di fronte a lui e poi s'era distratto guardando la ripavimentazione della sua via. Tutto pareva lentamente mutare, giorno dopo giorno. Eppure il ghetto era sempre al solito posto e le piazze adempivano ancora alle stesse funzioni. E anche lui cercava di rimanere fedele alle vecchie convinzioni ed ai propri fallimenti. Non riusciva ad essere malevolo, preferendo sciogliere ogni impeto di rabbia in sorriso sconsolato. Non capiva la maleducazione che vedeva intorno a sé: quei ragazzi chiassosi, quel fare vistoso, quella frenesia imposta dalla modernità. Quel modo cafone ed aggressivo che lentamente prendeva piede nei figli dei suoi amici. Forse era solo una moda: i ragazzi dopo la fase della contestazione fine a sé stessa sarebbero tornati nei ranghi. Erano figli di gente seria, dopotutto. Lui preferiva ancora andare a bere un caffè e salutare la vecchia amica che da anni aveva lo stesso negozietto nella stessa via e che oggi aveva venduto una cartolina in bianco e nero a 1,5 Złoty ad un turista che le aveva parlato in inglese. Lei aveva risposto in tedesco, quasi come un riflesso condizionato. L'episodio aveva un ché di triste.
Per sera avrebbe comprato delle rape, e poi avrebbe guardato un film alla TV. Domani si ricominciava e lui avrebbe calcato le stesse vie.

venerdì 17 febbraio 2012

Hysteria


Come e perché nell'Inghilterra puritana vittoriana un giovane medico piacione ed idealista arrivò all'invenzione del vibratore.

Capita raramente di ritrovarsi in sala con sole donne: a quanto pare ancora oggi le signore sono interessatissime all'oggetto erotico più venduto del pianeta. Del resto, l'innocua commedia della Wexler è godibile, quanto l'uso dell'oggetto stesso: rapido, senza intoppi, e con finale assicurato.  
Il film è un po' annacquato e furbo, i tempi comici sono perfetti, ed il successo è assicurato: malgrado l'argomento tratti le "zone più gentili delle signore di Londra", non si scade mai nel volgare o nel pecoreccio e ci sia avventura persino in inoffensivi dialoghi politici su socialismo, femminismo e pauperismo. Farà ridere le sceme e sorridere le più intelligenti: mix perfetto.

Voto: 6.5/10


mercoledì 15 febbraio 2012

Hugo Cabret



Orfano parigino, vive nascosto in una stazione ferroviaria, si occupa della manutenzione degli orologi e cerca di riparare incessantemente l'automa (ricorda il robot di Metropolis) che il papà gli affidò prima di morire tragicamente. La sua costanza verrà premiata con l'incontro con un vecchio giocattolaio che nasconde qualcosa.

Scorsese debutta col il 3D: non ne sentivamo la mancanza. Le vicende dickensoniane del piccolo Hugo (meglio l'Oliver Twist di Polanski), l'omaggio ai padri del cinema, e la ricostruzione della Parigi di inizio '900 non sembrano giustificare gli occhialetti distribuiti prima di entrare in sala (ed il prezzo del biglietto sagacemente maggiorato). A quanto pare, questo è il film che "finalmente ha dato un senso al 3D". Pensa gli altri, insomma.

S'è in perenne attesa del momento poetico, della lacrima intellettuale, e dell'emozione nelle due ore della pellicola. Il problema è che si è anche destinati a rimanere frustrati. Il film ha certo spunti interessanti, quali la figura di Méliès (quanti lo conoscevano prima di essere entrati in sala? Pochi cinefili, temo), e la rievocazione del cinema quale momento alla volta ludico, meraviglioso e vitale, ma complessivamente non sembra rispettare le enormi aspettative in esso riposte. Ciò che rimane sono due ore di (semi)divertimento per preadolescenti, ed un dignitoso disinteresse per i fan di Scorsese che all'uscita dalla sala saranno accorsi in massa a rivedere Taxi Driver o Toro Scatenato: i momenti mielosi sono a volte così frustranti che si invoca con tutto l'ardore possibile Jack la Motta a sganciare un paio di destri ai piatti personaggi del film.


A chi è piaciuto consiglio di (ri)vedere Nuovo Cinema Paradiso: quando era possibile celebrare il cinema senza inutili orpelli digitali.


Voto: 6/10

Ps

Bravissimi Jude Law per i pochi secondi di recitazione e  l'intenso Méliès/Kingsley.

martedì 14 febbraio 2012

The New Girl



Sorride e ogni tanto si imbarazza.
Ride a volte in modo buffo e nega quando glielo faccio notare.
Ha dei momenti in cui non solo produce pensieri scemi, ma in cui riesce persino a pensarne di idioti per gli altri.
E' passata dal terrore che potessi baciarla, alla (non è vero!) paura non lo facessi più.
E' sempre entusiasta, senza mai essere sciocca.
Canticchia e ride se le faccio le facce.
Cammina per km, orientandosi quasi sempre. Quando sbagliamo strada ricominciamo.
Accetta l'ironia perenne ed il sarcasmo dolce.
Compare come fosse il personaggio di un cartoon che da occhialuta preme un pulsante e diventa supersexy.
Legge libri che le consiglio e libri che le sconsiglio.
Dice che è astemia e poi mi seduce a colpi di birre mandate giù.
Chiude la serate (anzi, le apre) proponendo di scolarsi una bottiglia di vino insieme.
Dorme spesso.
E' come la protagonista figa e svitata di una commedia brillante.
Rende positiva qualsiasi tipo di situazione.
Promette di vedere film insieme, ma non mantiene quasi mai. E poi nega di aver promesso.
Arriva sempre in ritardo, ma lo fa sorridendo.
Mi prende in giro se mangio troppo.
E mi rasserena, quando mi addormento. E mi sveglio.

giovedì 9 febbraio 2012

Il Nuovo Governo


A Terrafelice il governo era cambiato.
Dopo anni di vessazioni da parte di quello precedente, c'era stata una svolta, ed era stato formato un nuovo gabinetto. Di responsabilità. Per Unire il Paese. Promuovere doverosi sacrifici per il bene comune di tutti: vecchi, giovani e bambini. Il Nuovo Governo avrebbe finalmente riportato la moralità al centro del dibattito pubblico. Anzi: avrebbe chiuso la stagione delle polemiche e dei dibattiti: solo onestà, niente più discussione. Le resistenze erano tante certo: il governo precedente (quello corrotto, cattivo, pieno di signore dalla dubbia moralità, e di gentiluomini che pensavano più ai propri interessi che a quelli della sacra patria) aveva lasciato solo macerie. Economia in crisi, disoccupazione alta, infelicità galoppante. Ma ora i nuovi ministri avevano ben chiaro quale fosse l'obiettivo e come raggiungerlo in tempi ragionevoli.

Il Nuovo Governo aveva deciso che dato che per alcuni non v'erano certezze, sarebbe stato meglio non darle più a nessuno, le certezze. L'equità passava anche attraverso misure simili. Non dovevano più esserci privilegiati, come quando era in carica il Vecchio Governo. Basta con ministre diventate tali solo per le loro grandi abilità labbiali (erano grandi oratrici). Basta con i sottosegretari che associavano alla parola famiglia il volto serafico di Marlon Brando e non quello dei Nostri Ragazzi.

Ad esempio, forse non era più il caso che i giovani pensassero di poter lavorare una vita intera nella stessa azienda. Occorreva scoprire il valore del viaggio, del cambiamento, della novità. Il salumiere, quello che ora lavorava ai Supermercati della Felicità e che ogni giorno affettava prosciutti e tagliava salsicce avrebbe dovuto cambiare azienda ogni tanto. Fare esattamente la stessa cosa che faceva precedentemente, ma sotto un direttore diverso. Sarebbe certo stato più stimolato, ed avrebbe affettato meglio il salame ungherese. E l'impiegato che lavorava in contabilità, perché vederlo ammuffire per anni nello stesso ufficio? Cambiare, questo era il verbo. Se possibile per guadagnare di più. I maligni replicavano che probabilmente nessuno avrebbe guadagnato di più e tutti avrebbero guadagnato di meno. Ma erano, appunto, maligni. Cento euro in meno al mese, ma la soddisfazione del cambiamento. La gioia del rimettersi in discussione. Essere salumiere free lance. Essere imprenditore di se stesso, in un mondo di salumi e mozzarelle di bufala. Il partito dei maligni, questo non lo comprendeva, anchilosato com'era sulle sue vecchie posizioni conservatrici.

Accadeva poi che per far passare il messaggio, il Ministro Pagnottelle ricordasse a tutti che il posto fisso era un'illusione. Che bisognava conoscere, lavorare lontano da casa, dalla propria famiglia e dalla propria fidanzata, vedere mari e monti e girare per l'Indonesia alla ricerca di ogni posto disponibile. Bisognava lottare ed essere pronti ad affrontare la Grande Muraglia della Vita. E lo diceva con convinzione ed ardore. Il partito dei maligni però, come al solito, malignava. Si veniva a sapere, che, per caso, la figlia del ministro stesso era impiegata presso organi statali. Che per caso, non lavorava poi tanto lontano dai suoi genitori e della sua vita. Che guadagnava bene, persino più del salumiere free lance. Malignità. Per lei parlavano le cifre, i dati, il CV. Era giusto avesse ottenuto quel posto, diamine. Ma il partito dei maligni era tenace: ed il mezzo milione di personale iperqualificato che però non ha un posto di lavoro fisso, ben retribuito e stimolante? Come rispondeva il governo in merito a tutto ciò? Ma il Ministro Pagnottelle aveva però altro da fare che evadere le richieste dei maligni: responsabilità più urgenti lo chiamavano. Ad esempio c'era quella figlia di quel suo collega che stava cercando lavoro...

sabato 4 febbraio 2012

L'ultima volta che vidi la neve


L'ultima volta che ho visto la neve era nel 2010. Mittenwald o Monaco.

Giravo con le mie scarpe tremendamente inopportune, con una giacca più adatta al vento che alle intemperie ("comprami uno di quei giacconi? cosa??") pianificavo strutture di cemento (le fondamenta erano d'argilla, e lo sapevano tutti tranne me), parlavo tedesco qua e là, innestando un po' di portoghese (si deve apprendere la lingua dell'altro, no?), cercavo di occupare lunghe giornate d'isolamento, e risparmiavo i soldi per la birra. Ne bevevo un paio al giorno, un po' per intorpidirmi, un po' perché dopo il secondo litro pareva tutto un po' più facile.

Camminavo di notte, tornando a casa (sono sempre io quello che torna a piedi a casa al buio), scivolando sul ghiaccio, non sapendo bene, in realtà, cosa stessi facendo della mia vita nel preciso istante in cui il mio sedere impattava col suolo. Era un dolore doppio. E c'era sempre la neve, ogni giorno.

Ogni mattino mi svegliavo e sapevo che i miei piedi sarebbero affondati nel gelo, senza peraltro curarmene più di tanto. Faceva freddo e ogni 20 minuti entravamo in un bar, una chiesa, un negozio di scarpe. Lei come al solito aveva qualcosa di cui lamentarsi (su di me, perché per il resto, la vita le sorrideva: mai uscire con un'arrivista della low middle class: ogni persona o cosa o fatto è solo un appiglio per una scalata socio-economica destinata a non terminare mai), io la prendevo con ironia: del resto c'erano 15 cm di neve dappertutto, non potevo certo alterarmi per qualche cattiveria gratuita. E così la neve era un po' la mia vera compagna di viaggio: era l'unica cosa che mi circondava sempre, e da cui mi aspettavo un comportamento leale. Sapevo quando m'avrebbe ferito e fatto sanguinare e quando invece si sarebbe sciolta con una certa placidità, al sole. Sapevo persino quando m'avrebbe fatto divertire.

L'ultima volta che ho visto la neve era nel 2010.
Oggi nevica anche a Roma, e tutto sommato posso aspettarmi lealtà da una persona in più, e da un po' di neve in meno.

giovedì 2 febbraio 2012

Una breve nota serale


Non mi muovo da 9 ore, ho passato la giornata a leggere McCarthy ed a vedere Breaking Bad, a rispondere ad email per dei colloqui (sottopagato, sottoutilizzato, sottomotivato), e ho bevuto una birra piccola facendo uno strappo alla regola, e fuori c'è la neve - è pieno di gente che si lamenta per il freddo: io mi ricordo che non mi dispiaceva quando vivevo in Baviera e ne prendevo un po' tra le mani, cercando di cogliere qualcosa di mistico, mentre era solo neve che mi si scioglieva addosso - e alla radio un commentatore fa del facile populismo (violenze sessuali, politica, economia: il terreno fertile degli idioti), la televisione non c'è perché di fronte a me c'è solo un poster di Banksy, quello con i ragazzini che squarciano un muro e vedono che c'è natura oltre il cemento, e ho un assurdo momento di malinconia perché improvvisamente mi manca lei, ed è incredibile mi manchi qualcuno, per di più una donna, per di più una donna con cui esco, e la cosa invece di rattristarmi ancora di più mi rende felice,e mi rendo conto che potrebbe mancarmi solo lei e sì, sorrido perché lei è distante, sorrido perché non è qui con me, sorrido perché ho motivi pensare che ho bisogno dei suoi occhioni, della voce ovattata e delle mani da tenere tra le mie.
E finalmente c'è sollievo nella mancanza.

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