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mercoledì 28 dicembre 2011

Il sogno che volevo fare dopodomani


Mi stava davanti. Non la vedevo da 2 settimane: piccolo litigio idiota (per cos'era di preciso?), impegni di lavoro, nervosismo, crisi di governo in un paese del sudest asiatico, recessione affettiva seguita da dolori allo stomaco. La dittatura della bile imponeva i suoi ritmi infernali alla quotidianità.
Non è che non volessi fare il primo passo (il primo passo, che espressione vuota ed abusata) e quelle stronzate lì, è che i giorni mi sfuggivano di mano ed il solco diventava un po' più profondo, anche se in modo impercettibile. I Muli facevano il loro corso. M'ero anche detto ma perché non chiama lei?, ma avevo lasciato stare dopo 5 minuti: non potevo incolpare gli altri del fallimento che portava il mio nome sulla fronte. E allora avevo telefonato. Ogni squillo era stata una nota della Nona, sempre più tetro ed enfatico, come fosse un caro armato in un giorno di festa nazionale. Poi aveva risposto - oh sei tu - ed era stata incerta per i primi 20 secondi. Ma la voce era velocemente tornata quella un po' ovattata e con sottofondo di impercettibile entusiasmo di sempre. Probabilmente aveva passato giornate non esaltanti, anche lei. Ci eravamo dati appuntamento davanti ad un pub che conoscevamo bene. Lei era comparsa con 20 minuti di ritardo - nei quali m'ero limitato a pensare cazzo arrivi in ritardo pure oggi - ma poi m'aveva sorriso e c'ero passato su. Non era ancora arrivato il momento di riscuotere la cambiale della puntualità. Dentro c'era musica, e finalmente, dopo 5 minuti che c'eravamo seduti, era partita So Far Away. Le avevo preso la mano sinistra ed era arrivata la birra.

Beh, era stato un anniversario un po' strano.

venerdì 23 dicembre 2011

La produttività Stachanovista della Poste Italiane



C'era la crisi. L'economia andava male. I preservativi costavano caro, i giovani erano senza lavoro, le donne sempre più acide. Le poste erano sempre al solito solito posto.
Metti che facevi 2h di fila per chiedere se avessero le Sterline, perché te ne servivano 200. Metti che a risponderti c'era una vecchia di 50 anni che ne dimostrava 70, probabilmente entrata grazie ai socialisti negli anni '80, e che era totalmente inadatta a: lavorare, rispondere, vivere. Lei aveva il posto di lavoro, te no. Metti che la vecchia impiegava circa 15 minuti per ogni operazione, quindi faceva pagare 4 bollettini l'ora. Metti che la vecchia, biondo tinta, occhiali, intrombambile nemmeno per un reduce dalla campagna di Russia, si lamentava del suo posto di lavoro. La sua prospettiva era che lo stipendio le fosse dovuto a prescindere, come le ferie, la malattia, la pausa caffè ed i permessi. E non trovava giusto si dovesse anche lavorare. Questi pretendono che uno lavori tutto il tempo del turno, ma siamo matti? Non c'è più rispetto per nessuno, oggi non ho avuto nemmeno il tempo di andare a fare la spesa. La vecchia ed il concetto di produttività non erano distanti: erano alieni.
Metti che questa vecchia alla tua domanda: "avete sterline disponibili?" ti aveva risposto con fare arrogante: "certo, ma che domande!". Questi giovani d'oggi che si mettevano a fare domande sciocche facendole perdere tempo.
Metti che tu eri andato a prendere 250 euro da cambiare ed eri tornato alle poste, avevi fatto di nuovo 85 minuti di fila, dovendoti sorbire innumerevoli momenti dei Savonarola de' noantri: "qui avanza solo la A, la H non la chiamate mai!", "è uno schifo! la rivoluzione ci vorrebbe!", finché non ti aveva servito un dipendente che lavorava allo sportello di fianco alla vecchia. Metti che te, divertito, perché già sapevi come sarebbe andata a finire, gli avevi chiesto le 200 sterle. Metti che lui era andato a controllare, e dopo essersi intrattenuto per 5 minuti con una collega (mica vorrai pretendere si faccia un'operazione senza diversivi?) ti aveva detto:

Mi dispiace, non ce n'è una.
Bene, non c'è problema, lo dica anche alla sua collega, perché mi ha detto 2h fa che c'erano e io mi sono rifatto la fila, sa?


Non è possibile che gliel'abbia detto.
E' possibile invece.

Ma gliel'hai detto te che c'erano le sterline disponibili?

La vecchia aveva esitato, voleva dire di no. Io però la fissavo e lei non aveva avuto il coraggio di farlo.

Ehhh embè che nn ce l'avemo 200 sterline?


No, non ci sono.
Ah eeeeh vabbè e che ci fa?
Ci fa che io ho perso 2h ore.
Ehh vabè, capita.


Ecco, mettiamo che tutto ciò sia capitato davvero. 

E' Natale


Il senzatetto che cerca un vecchio pezzo di cartone, la zoccola di periferia che compra una mutanda firmata al fidanzato, che intanto le sta mettendo le corna con un'altra zoccola di periferia (indistinguibile dalla fidanzata ufficiale), il giovane direttore della catena di negozi di abiti che finirà il turno alle 19:00, il cane malconcio (lo ha investito di striscio una macchina) oggetto di scherno da parte dei ragazzi dei quartieri bene, i televisioni LCD scontati del 25% solo per oggi, il disoccupato che ha bisogno di lavoro, gli innamorati che si baciano nel quartiere africano, i lavori pubblici che si fermano eccezionalmente, il nuovo film di quel famoso regista americano, la studentessa che scopre d'essere incinta ma il padre è già lontano, il treno che è in ritardo e farà perdere la coincidenza per casa all'uomo sui 45 che aspettava da 6 mesi di riabbracciare sua figlia, l'amore che fugge, le offerte sul formaggio fresco, la strada sempre più sporca, i negozi di presepi che non fanno più affari d'oro, le serate noiose che attendono tutti, i viaggi in preparazione e cristo che muore di fame tra l'indifferenza dei suoi simili. E' Natale.

sabato 17 dicembre 2011

Non ti dimenticare di scrivere



Non ti dimenticare di scrivere. Non ti dimenticare, una volta arrivato, di pensare a me. Non ti dimenticare, mentre andrai, di dedicarmi 4 pensieri, uno dopo ogni quercia che incontrerai. Non ti dimenticare di ridere di me ripensando a quella sera. Non ti dimenticare di fare un sorriso malinconico quando qualcuno ti farà un complimento un po' banale. Non ti dimenticare di volare alto anche quando la gravità ti richiama pesantemente verso il suolo. Non ti dimenticare che maiuscolo e superlativo sono due aggettivi. Non ti dimenticare di quando abbiamo bevuto quella birra orribile in Portogallo, o era in Georgia? Non ti dimenticare di compilare quel taccuino, mettendoci ogni giorno un verso e 8 parole, non di meno. Non ti dimenticare di disegnarmi quando sarai di fronte ad una fontana romana in europa dell'est. Non ti dimenticare del mio volto quando leggerai un racconto underground con un pizzico di tenerezza verso gli ultimi. Non ti dimenticare di commuoverti quando al cinema vedrai un bel film. Non ti dimenticare delle mie scarpe mentre scenderai nella stazione della metropolitana. Non ti dimenticare di...

mercoledì 14 dicembre 2011

Una seconda versione dei fatti - La banda dei gerbellini


Ero seduto, il pub era scuro. Poca luce intorno, ma potevi ben vedere chi ti stava di fronte: era stato ben progettato. I tavoli erano di legno, come lo imponeva la tradizione e la cameriera - carina - ci aveva appena servito una birra. Chiara. Mancava una band esordiente a fare da sottofondo (anche se le canzoni che passavano non erano male - ma io non capisco un cazzo di musica) ed un po' di trambusto intorno a noi. Lei mi stava parlando di un suo compagno del liceo - e io, giuro trovavo la cosa interessantissima, sebbene esternamente sarebbe logico pensare non me ne fregasse nulla - e la tempestavo di domande. Perché ero curioso, pur cercando di non essere invadente. Lei però non disdegnava sorrisi appena accennati. Ogni tanto cercavo con lo sguardo le sue mani. Le mie le muovevo in modo regolarmente convulso, come se fossi stato morso da un serpente asiatico, ma sapessi perfettamente cosa andasse fatto. Ci guardavamo negli occhi e i miei strani neuroni venivano illuminati - sembrava avessero finalmente inventato l'energia elettrica: io ero il simbolo del capitalismo rampante e del progresso sociale, io ero la prima città illuminata - e mi balenava per la mente solamente la frase ma che davvero?. Eppure lei era lì davanti. Dovevo assolutamente trovarla qualche difetto orribile, pescare qualche confessione atroce - io odio gay, non sopporto i neri, sono contro l'aborto, ho votato GW Bush, sai, penso che leggere sia molto sopravvalutato, al cinema non vado mai perché proprio non ho tempo, i nazisti mica avevano tutti i torti - ed invece la clessidra continuava a scandire i minuti con i suoi granelli viola e nulla trapelava. Anzi: più le parole le uscivano di bocca più era chiaro non avrebbe detto nulla di sbagliato, ma avrebbe continuato imperterrita ad essere brillante senza sapere d'esserlo. Affascinante in modo sommesso ed invisibile. Non perdevo tempo a guardarle il corpo perché ero troppo concentrato a sentire fino all'ultima sillaba. Il pub era sempre vuoto. Aspettavo scoppiasse una bomba da un secondo all'altro. Ma non successe niente e tornai a casa, per una volta, con una certa ansia nei confronti del giorno dopo. E feci bene.

giovedì 8 dicembre 2011

Un nemico al giorno


Stavano uno contro l'altro, in piedi, alla fermata, a baciarsi. Era ora di pranzo, quindi erano studenti liceali, anzi: studenti della scuola secondaria: reietti inadatti ad una istruzione decente. Lui aveva una tuta bianca, lei pantaloni che le stringevano il culo. Le felpe erano piene di scritte idiote che probabilmente manco capivano. Si baciavano con una intensità pari solo alla volgarità. Lui le teneva le mani sulle chiappe. Tenere le mani sul culo non è mai particolarmente fine, ma spremerlo in pubblico, in pieno giorno, nella speranza che esca qualcosa, tipo succo d'arancia o CocaCola tende all'orribile. A lei però piaceva, visto che lo guardava con ammirazione disinteressata. Lui ogni tanto, tra un bacio e l'altro, parlava agli amici. Di roba seria, probabilmente, tipo le tette di un'altra. Poi tornava a ficcarle la lingua in bocca, in modo vagamente meccanico. Dopo qualche minuto era arrivato l'autobus, che avrebbe riportato quei rettili nelle loro paludi sottoproletarie. Lei aveva lasciato lui - evidentemente non abitavano nella stessa melma - ed era salita. Lui aveva ricominciato a parlare con gli amici prima ancora che l'autobus partisse. Li guardavo, perché m'aspettavo che lei, una volta salita, si sarebbe girata per sorridergli, fargli un cenno d'intesa - ci toccheremo ancora il culo domattina - mandargli un bacio. Invece niente. S'era seduta senza manco rivolgergli uno sguardo, e s'era messa a discutere con 3 zoccole amiche sue. Stessa razza, stessa lingua. Lui intanto aveva cominciato a parlare in tono sconcio con i suoi coetanei. Non era nemmeno cosa diceva il problema, ma come lo diceva. Come rideva, in modo gutturale, morto. Avevo sperato di incrociare lo sguardo di lui che cercava quello di lei, e andava incontro ad una delusione. Le delusioni sono i sintomi dell'innamoramento, assieme alle attese ("Sono innamorato? Sì, poiché sto aspettando"). Invece non se n'era curato. Affanculo lei, e affanculo lui. Poco contava che le rispettive salive fossero nelle gole dell'altro: ora era tempo di fare e pensare ad altro.

M'ero girato, era arrivato il mio di autobus ed ero salito su.
Una volta arrivato avrei poi aspettato lei 40 minuti.
Io avevo ancora il diritto alle attese. 

sabato 3 dicembre 2011

I superpoteri


L'uomo gli era apparso davanti. Un bell'uomo, una specie di Gary Cooper meno affascinante e più consumato dalla vita di periferia. Gli aveva proposto i poteri. Poteva darglieli, bastava lui annuisse.
C'era quello che gli avrebbe permesso di tornare indietro nel tempo. Era allettante, in fondo. Avrebbe potuto usarlo per rifare qualche esame, non conoscere qualche persona, uccidere Pinochet piantandogli un coltello negli occhi o comprare una seconda volta una cassa di CocaCola in offerta. Ma aveva desistito. Se era diventato quel che era ora lo doveva a tutte le cose fatte. Ai suoi fallimenti ed ai suoi successi, grandiosi in egual misura. Lo doveva anche a Pinochet, sì. Non poteva cambiare nulla senza cambiare immancabilmente se stesso. E tutto sommato non voleva cambiarsi: si riteneva così interessante nel suo connubio tra mediocrità e serietà.
Allora l'uomo gli offrì quello di vedere il futuro. Poteva vedere quale sarebbe stato il candidato del PD a perdere la prossime elezioni, quale sarebbe diventato il suo lavoro o con quale avanzo di galera sarebbe uscita sua cugina. Sì, poteva anche sapere in anticipo il risultato della Roma. Ma tutto sommato non sapeva cosa farsene: era ancora preda di entusiasmi proprio a causa delle indecisioni, a causa delle aspettative. A causa della paura. A causa dei dubbi, proprio loro. A causa di quella sensazione che provocava staticità ed elettricità nelle vene, quando aveva lei di fronte e doveva decidersi a darle un bacio, doveva farlo, perché non poteva lasciare che la mancanza di coraggio gli rovinasse la vita, e l'implicazione catartica del gesto era proprio che doveva tentare non essendo sicuro del risultato. Lei infatti si sarebbe spostata e lui sarebbe affondato nel vento. Ma se fosse stato sicuro non avrebbe nemmeno provato. Era stanco delle cose sicure, acquisite prima ancora di provare.
Allora l'uomo gli aveva offerto un'ultima possibilità: fermare il tempo. Cambiare le cose e/o lasciare che un istante piacevole perdurasse per minuti ed ore. Ma aveva rifiutato anche quella. Non voleva aiuti meccanici per rivivere le cose, no. Aveva in sé quella strana convinzione di poter rivivere le cose semplicemente mettendoci impegno e perseveranza sentimentale. Anzi: non voleva rivivere proprio nulla. S'era messo in testa che ogni serata sarebbe stata diversa, seppure con la stessa musica classica alternata a rock in sottofondo. S'era messo in testa che tutto sommato bastava lui, bastavano le sue forze per passarle una mano in mezzo ai capelli, ancora ed ancora, provando ogni volta la stessa felicità in modo diverso. E maggiore.

Sì, s'era messo in testa di contare solo su di sé. E la cosa peggiore era che s'era convinto di farcela.

venerdì 2 dicembre 2011

Desire - Under Your Spell



La canzone che stavo ascoltando prima di uscire. Come la ragazza warholiana piangeva lacrime disegnate, avevo lo stomaco in subbuglio, avevo il petto che doleva, il viso che perdeva colore (diventava violaceo e verde come quello d'un americano morente in Vietnam), e le mani senza più forza. Ed ogni sorriso nascondeva una orribile maschera di sofferenza invisibile.

you keep me under your spell
you keep me under your spell
you keep me under your spell

giovedì 1 dicembre 2011

L'incipit del romanzo che quell'autore balcanico non avrebbe mai potuto scrivere


Non andava mica così bene. Da quando il paese era entrato in recessione aveva perso, nell'ordine: il lavoro, l'assicurazione sanitaria, la tessera per il cinema, quella per la piscina, il posto auto davanti casa e sua moglie non se la passava troppo bene. O meglio: se la passava bene ma a quanto pare non con lui. Non che fosse così arrapato da volersela ancora scopare, quello no, ma la sua presenza (della moglie) conferiva alla casa che dividevano quel tepore rassicurante e privo di ansie che allietava la vita. Cambiare moglie sarebbe stato come cambiare cesso o materasso: fonte di stress inutile.

Passava le sue giornate cercando offerte di lavoro sui giornali, cerchiandole in rosso e ordinando birre al bar. Avrebbe saldato il conto nei mesi successivi (in realtà, il conto di 78 euro non venne mani saldato: l'uomo finì sotto ad un autobus 3 mesi dopo, senza aver provveduto ad estinguere il debito. ma questo, allora, non lo sapeva), e sperava ancora di reinserirsi nel tessuto sociale. Lo chiamavano così ora tessuto sociale. A lui pareva ancora la solita merda: dovevi lavorare per avere i soldi, con i soldi mangiavi, con le energie tornavi al lavoro il giorno dopo e via dicendo. Il tessuto sociale era roba buona per quei segaioli degli studenti che non avevano mai alzato un dito in vita loro o per quei finocchi che andavano in TV a parlare di stranieri ed integrazione. Cosa cazzo ne sapevano loro degli stranieri? Facevano i progressisti dalle loro villette dei quartieri residenziali.

Il governo era caduto il giorno prima e l'opposizione era scesa in piazza a festeggiare. Aveva visto le scene del capo del Partito della Giustizia mentre stappava una bottiglia di champagne. L'avventore che gli stava accanto (all'uomo, non al capo del Partito della Giustizia) aveva detto con un certo sarcasmo come se le parole fossero stato pronunciate dall'eminente leader politico: "evviva, ora tocca a noi a magna' " La cosa gli aveva fatto pensare che non aveva ancora nulla per cena - sua moglie era "impegnata con della colleghe fino a tardi" aka a farsi trombare da qualcuno - e che quindi avrebbe risolto tutto prendendosi un kebab dai turchi della settima. I turchi gli facevano schifo, ma il kebab costava poco.  Le cose che provocano ribrezzo, di solito son sempre a buon mercato, questo lo sapeva.

Appena sceso dal tram decise che era tem

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