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venerdì 31 dicembre 2010

Two different planets


Guardavamo insieme le vignette di Macanudo.
O meglio, onestà, prima di tutto: le avevo scoperte grazie a lei, quando vivevamo ancora in Austria. Ricordo che diceva, con incomprensibile fierezza: "it's the only website i've ever seen since years, everyday". E tutti i giorni, seguivo a modo mio, le storie della bambina dolce, del mostro che diceva sempre "OLGA", del pinguino solitario. E altre.
A dire il vero ero un po' un misto di tutti. Vagavo per il pianeta come il pinguino (per poi tornare sempre allo stesso punto), guardavo con occhi da bambino le situazioni nuove e poetiche che mi si paravano davanti (le altalene vuote dell'Hilmteich, our secret place), ed invece di OLGA, ripetevo sempre A.

E quella di oggi? Sì, siam di pianeti diversi. Speravo, a mo' di Piccolo principe, di riuscire a colmare il divario, A dire il vero, ero intimamente convinto di avercela fatta. Poi però vien sempre il momento, nel quale la realtà ci presenta i conti altrui. E le tue terribili mancanze.
Ed il 1 Settembre (remember, remember, the 1st of September), il conto m'era stato mostrato. Anzi: inviato via posta. Come eleganza richiede.

Siam di due pianeti diversi? Forse. Eppure, a me, andava benissimo.
Ma a lei, no.

Hide and seek



Nascosto nel buio, è il titolo italiano di un thriller di second'ordine di qualche anno fa. Se non fosse per la presenza di De Niro, potrebbe essere un B-movie come tanti. Ed invece, purtroppo, De Niro c'è. Fa un po' male vederlo ridotto così, a fare film di genere in cui, è evidente non crede nemmeno lui. Del resto invecchiamo tutti, in modo più o meno ridicolo.
Trama banale, un po' di suspence e finale prevedibile. Girato con la mano sinistra da Polson, di cui per altro, non si ricordano perle degne di nota.

Da vedere solo in una serata di Dicembre senza senso, e se siete nella stessa stanza con una sorella 24enne con crisi di costipazione, per cui ad ogni colpo di scena (e di paura) del film, potrete urlarle contro: "ora te la fai nelle mutande". Orrida frase alla quale potrete accompagnare una risata malefica. Come ho fatto io.
La farete incazzare: risultato garantito.

Voto 5/10

giovedì 30 dicembre 2010

Caso Battisti



Al di la del fatto l'Italia sia giustamente considerata una democrazia di serie B (persino dal Brasile, roba che lì, fino a 25 anni fa, stavan sotto regime militare, tanto per capire di quanta considerazione goda nel mondo  il nostro paese), trovo VERGOGNOSO ci siano cittadini italiani contenti che Lula non faccia estradare il criminale pluri pregiudicato Cesare Battisti.
Trovo vomitevole che i cosiddetti intellettuali francese lo abbiano difeso, solo perché mentre stava a Parigi, scriveva libretti gialli. Trovo stomachevole persino si accenni alla politica quando si parla di questo delinquente.

Rapinatore, condannato per omicidio,  ideatore di assassinii. E dovremmo permettere che nn stia in galera? Ma perché? Cristo, ma è rimasta un minimo di etica, di concezione del diritto, di buon senso? Per colpa sua sn morte persone, sono finite vite umane, sono state rovinate esistenza interne. Ed io debbo leggere che il poveretto è "perseguitato", sì, perseguitato. Così è stato scritto a più riprese dai lettori di Repubblica.it

E poi bisogna intendersi su un punto chiave: se Battisti  ha compito i suoi atti per motivazioni politiche allora dovrebbe accettare ogni conseguenza dei suoi atti, ed anzi: costituirsi all'autorità italiana. Facile voler sovvertire uno stato il venerdì sera e poi il sabato scordarsi tutto. Se invece Battisti ha compiuto i suoi atti da criminale comune, nn c'è motivo per il quale possa nn essere estradato.
In ogni caso dovrebbe stare in galera. E per anni.

E dal governo? Niente, si levano solo le voci dei fascisti come La Russa, gli altri tacciono. Dal Pd niente, Idv manco a parlarne. Berlusconi ci rompe le palle con i crimini di Stalin ad ogni conferenza stampa, e invece su un assassino incallito come Battisti non trova nulla da dire. Non minaccia nemmeno sanzioni a livello commerciale e diplomatico.

In quanto a Lula stendo un velo pietoso. L'ho sempre difeso, ed è una persona illuminata. Ma dare asilo ad un criminale comune come Battisti, lo qualificherebbe solo come un fiancheggiatore di assassini.

Che tristezza.

The Ghostwriter - L'uomo nell'ombra



Scrittore mediocre viene incaricato di redigere le memorie dell'ex premier inglese. Mentre si trova a svolgere l'incarico, si accorge che la vita politica e privata dell'uomo non è poi tanto lineare. E che, attorno a sé, c'è chi si muove nell'ombra. Chi è, il vero ghostwriter?

Polanski o forse Hitchcock? The Ghostwriter è infatti un film terribilmente (e piacevolmente) hitchcockiano. Non è forse un uomo qualunque alla prese con qualcosa che diventa sempre più grande di sé il ghostwriter che da il nome al titolo del film? L'uomo onesto travolto dal marciume che involontarimente gli piomba addosso. Si gioca con le allusioni, il mistero appena accennato, indizi sparsi qua e la in modo quasi casuale. Conta più cosa si nasconde tra le righe, che il testo stesso.


Polanski confeziona un film perfetto, senza la minima sbavatura, con un finale memorabile, prevedibile e perfetto. Attori, in forma (toh, c'è persino un vanesio ed affascinante Brosnan, lontano dagli insuccessi bondiani), regia impeccabile.
Si diverte il regista polacco, quando ricorda che gli Usa non riconoscano la giuridizione della corte penale internazionale, come altre grandi democrazie quali l'Iraq, la Cina, la Corea del Nord... Gli Usa, la stessa nazione che proprio mentre girava il film chiesero l'estradizione del regista per crimini sessuali avvenuti 40 anni addietro. Chi la fa, l'aspetti.

7.5/10

Knowing Me, Knowing You


Knowing me, knowing you
There is nothing we can do
Knowing me, knowing you
We just have to face it, this time we're through
Breaking up is never easy, I know but I have to go
Knowing me, knowing you
It's the best I can do


M'ero giusto addormentato sentendola. Avrei voluto chiudere gli occhi con qualcosa di più allegro nella mente, che so', Rosemary's Baby di Polanski. Invece m'ero toccata 'sta canzone. Avevo maledetto A., immaginandola nell'atto del sentirla prima di mollarmi, quasi a trovarsi una giustificazione. Breaking up is never easy, I know but I have to go, Knowing me, knowing you, It's the best I can do. Ancora non avevo trovato un equilibrio decente da opporre alla libertà altrui. I mesi eran passati. E stavo sempre allo stesso punto.

Certo: "opporsi" è una parola grossa, ed un verbo impegnativo. Non ci si può e deve opporre ad un rifiuto, anche se arriva fuori tempo massimo. Anche se arriva dalla persona per la quale ti sei tolto il sangue dal cervello ed i nervi dalla pelle. Quindi, niente.
Accettare. In silenzio, andarsene, senza protestare. Provare a rendersi ridicoli un pomeriggio, a Monaco, piangendo senza sosta per ore, davanti a passanti inteneriti dal 26enne con le lacrime agli occhi che non riusciva nemmeno a parlare. Gente che si sarà chiesta: "ma perché questo ragazzo piange come un disperato e la ragazza non fa niente, guarda di fronte a sé e basta?".
Implorare, sì, certo, si fa anche quello. Ma dopo, basta. Preparare le valigie e tornare a casa. Tentare di fare come fosse morta. Ed un lutto da eleborare. Un lutto impossibile da elaborare. Come Julien Davenne, ne "La Chambre verte"

Tra qualche anno saprò dirvi.

martedì 28 dicembre 2010

One of us



Oggi, viaggiavo verso una delle mie tante città maledette. E per un caso stavo ascoltando One of Us, degli Abba. Sapete, quella che nel ritornello dice:


One of us is crying 
One of us is lying  In her lonely bed  Staring at the ceiling  Wishing she was somewhere else instead  One of us is lonely  One of us is only  Waiting for a call  Sorry for herself, feeling stupid feeling small  Wishing she had never left at all

e come capita a tutti gli innamorati, di più, a tutti gli amanti (nel senso più puro del termine) traditi, finivo un po' per riconoscermi nel testo. E' un artefizio, certo, le canzoni sono volutamente banali. Parlano tutte d'amori andati, affinché tutti i dementi del mondo vi si possano riconoscere, chiaro. Tutti i dementi compresi quelli che la parola amore manco sanno cosa sia lontanamente. Ma vabé, non è questo il tema: c'è sempre tempo per parlare dei dementi.

Insomma ascoltavo il ritornello "one of us" e mentre mi convincevo che parlasse di me, mi rendevo conto che la locuzione "one of us" implicasse un us, un noi, nos, uns, nous.
Ma, visto come la cosa era finita, non c'era mai stato nessun noi.
C'era stato, anzi, c'è, un io e c'era stato, una vita fa, un lei. Ed è allora che m'è tornato in mente il meraviglioso titolo italiano di un libro di Catherine Dunne: la metà di niente.
Ecco, io ero stato la metà di niente, per cui, ora, canticchiare che "One of us is crying, One of us is lying, In her lonely bed", era non solo grottesco e ridicolo, ma, probabilmente, anche falso.

Ed io ero da sempre un personaggio grottesco e ridicolo. E mediocre. E volgare per la sua piccola insulsaggine. Ma falso, per sfortuna, ancora no.

Truffaut kiss montage



La prima volta che vidi qualcosa di simile avrò avuto 10 anni. Era la scena finale di Nuovo Cinema Paradiso, film meraviglioso (grazie papà d'averci cresciuto con i film e non con le partite di pallone). E allora, m'era venuto in mente che un giorno avrei voluto fare una cosa simile da dedicare alla persona con la quale avrei voluto passare il resto della vita. Poi un giorno trovai anche la persona.
Ma, la vita, corre su binari ben più veloci dei pensieri umani, così, mentre pensavo ai baci finti da inserire, venne a mancare la materia prima: la mia ragazza. E così, posso vedere alle 00.14 del 28.12.2010 il video dei baci dei film Truffaut. La finzione prende il posto sulla realtà? Magari. Magari.

Del resto, io sono L'uomo che amava le donne ed Adele H., nello stesso personaggio. Due miserie, in un corpo solo.

Grande Fratello



Leggevo su corriere.it di come oramai, si possa bestemmiare al GF, senza per questo venire esclusi d'ufficio dal gioco. Ne sono contentissimo.
Posto che non ho mai visto quell'indecenza che i più ottimisti potrebbero definire "programma", e posto che ne leggo gli "avvenimenti" solo quando capita che se ne occupino i quotidiani (o la Gialappa's, a dire il vero), trovavo così ridicolo eliminare un candidato per un bestemmia. Tipicamente italiano, salvare la decenza in calcio d'angolo, l'insulso piccolo gesto moralista per far dire alla maledetta massaia di Voghera "hai visto, però eh, son seri, lì non puoi mica bestemmiar!".

Negli ultimi anni, s'è sentito di frasi razziste, sessiste, antisemite, volgari, di poveri idioti che non avevano nemmeno le basi culturali di un bambino di 4 anni, e ci si scandalizzava solo per una maledetta bestemmia? Si dirà: almeno quello non potevano farlo. Ma chi stabilisce se sia più grave bestemmiare o fare una greve battuta antisemita? Chi decide se sia  più elegante ricoprire di elogi la madonna o dire che quelle che vengono dall'Argentina o dal Brasile sian tutte troie?

A questo punto, indecenza per indecenza, meglio essere coerenti. Rutto libero per quei cerebrolesi che stanno dentro, e per i poveri idioti che lo guardano.

lunedì 27 dicembre 2010

7 tipi di ambiguità



Non c'è bisogno di frequentare qualcuno per esserne innamorato. Puoi aver perso ogni contatto con lei, può averti ferito anche in modo inspiegabile. Se hai mai pensato di conoscerla davvero, e se quello che avevi conosciuto l'avevi amato, e se ricordi cosa avevi conosciuto, perché dovrebbe essere così folle conservare ancora quell'amore?

Beh, non è forse vero?

domenica 26 dicembre 2010

Nazim Hikmet - Il peso più grave






Nazim Hikmet, Mosca, 1962



Ti sei stancata di portare il mio peso
ti sei stancata delle mie mani
dei miei occhi della mia ombra

le mie parole erano incendi
le mie parole eran pozzi profondi

verra' un giorno un giorno improvvisamente
sentirai dentro di te
le orme dei miei passi che si allontanano

e quel peso sara' il piu' grave.


Di solito chi legge poesie, o meglio chi le scrive, ritiene che quasi tutti i "classici" siano grandi poeti.
Ora, debbo fare una confessione: a me fan quasi tutti schifo. Non li ritengo nemmeno buoni scrittori. Non leggo Carducci, non leggo Pascoli, non leggo Luzi, non amo particolarmente Ferlinghetti. In generale, trovo le poesie d'amore stupide, ridicole, false. Trovo che la maggior parte dei poeti, spesso scriva quel che la gente vuol leggere. Ma la poesia non è questo. La poesia deve toccare. La poesia deve bruciare quei maledetti indegni polmoni che abbiamo.
A me piace Bukowski. Piace chi parla di cosa sia l'amore. Di cosa sia scoparti la tipa di cui non ti importa nulla, o la donna delle tua vita. Mi piace qualcuno che fissa la tipa nelle palle degli occhi mentre sta avendo un orgasmo ed intanto pensa alla prossima birra. Ed a quanto ami la tipa. Ed a entrambe le cose assieme. Mi piace ci chi parla degli emarginati, ma quelli veri di emarginati, quelli che davvero sono invisibili. Mi piace chi scrive dei mediocri, dei perdenti. Chi scrive di me. Dei  loosers. (A. :"you use to go alone to the movie teather?? you're such a looser"). E poi amo Pessoa che scrive dell'incapacità di trovare un ruolo nel mondo. Dell'incapacità umana tout court. Dell'essere talmente alienato da non riconoscersi allo specchio.
E poi, un giorno ho scoperto Nazim Hikmet. Non sono un critico. E non voglio scrivere un ridicolo saggio (e nemmeno ne avrei le competenze) introduttivo su di lui.

Quando ho letto questa poesia (inizio Dicembre, alla Mel Bookstore) son rimasto scioccato. Perché era esattamente quello che avevo in mente.
Verrà un giorno, in cui li sentirai i miei passi ormai lontani. Sì, verrà. Mi duole solo che non potrò esser lì a constatare. Non dico a gioire. Non puoi gioire del dolore di una persona che ami. Non puoi. Ma puoi provare una malsana e sudicia soddisfazione. La soddisfazione dei piccoli mediocri saccenti come me.
Ed io non ci sarò a vedere. I miei passi m'avran già portato troppo lontano. No, non ho certo la pretesa d'esser rimpianto. Io non sono una persona che qualcuno possa rimpiangere. Non fa parte delle mie corde. Perché cerco di spremere emotivamente e fisicamente le persone. Perché boh, cerco di discutere su qualsiasi cosa. E la mia dipartita credo venga vissuta come una sorta di liberazione.
Ma dopo ogni euforia viene il momento del riflusso. E allora, il peso dei miei passi, il silenzio delle mie mancate parole d'amore e delle mie polemiche politiche, la mancanza delle mie mani, l'assenza del mio corpo accanto al tuo, nel tuo letto, lo sentirai.

E sì, allora, forse per qualche secondo piangerai di dolore. Io ci son abituato.

Away we go



Non voglio fare il critico di cinema. Non voglio questo blog sia solo uno dei tanti che parlano (bene) di cinema. C'è un bel libro di Morando Morandini: Non sono che un critico. Ecco, io nemmeno quello. I film sono arte (e, "atti d'amore" diceva Truffaut), che io ho sempre cercato di collegare in modo insistente alla vita. In un certo senso, li ho ancorati alle mie esperienze. Ai miei desideri. A ciò sono, e ciò che vorrei essere. Sono la mia salvezza, quasi più della letteratura. Una volta dissi ad A.: "our house will be full of movies and books". E lei mi rispose: "no, it would be so sad". Io chiusi con "but, i'm a sad person". In realtà era una bugia: son stato al suo fianco la persona più felice del mondo. Davvero: non è una espressione folkloristica: lo ero. Era lei, che, evidentemente, non lo era accanto a me. E me l'ha fatto sapere fuori tempo massimo.

Vabè, si diceva? Ah sì, i film. Se nella mia vita hanno una importanza così marchiana, è evidente che allora, il giorno del mio compleanno io mi sia rifugiato in un cinema. Posso respirare solo lì, oramai. E ho visto American Life, titolo italianizzato (?) di Away we go.

***

Cosa cerca una coppia di (quasi) marginali americani, una volta scoperto di aspettare un bambino? Un posto dove crescerlo. E allora, si imbarcano in un viaggio on the road, alla ricerca del posto migliore dove vivere. Si vaga per l'America (ed il Canada), in una America post-obamiana, in cui ci si imbatte nella eterogeneità della società. C'è di tutto: hippies schizzati post-moderni, cinici apocalittici, mamme che umiliano senza motivo i propri figli, persone che han rinunciato a qualsiasi aspettativa, coppie che sembrano felici pur portandosi dietro un enorme fardello di miseria e dolore. Persone felici ed altre no. Ed è inevitabile, che, alla fine, vi sia una sorta di ritorno alle origini. Ed il rifugiarsi nel passato, certi che da lì, possa nascere un futuro migliore.

E' un film tutto sommato ottimista, lontano da Revolutionary Road  e Road to Perdition (che tuttavia mantevena una certa speranza impercettibile nel fututo).
Se l'aborto in Revolutationary Road era la consapevolezza del fallimento di un certo tipo di modello capitalista, consumista e maccartista, qui invece la nascita del figlio è invece la speranza di una società migliore. Per gli esseri umani.
I protagonisti del film, vivono la propria diversità senza esibizionismo, senza dissennata ricerca dell'apparire. Sono diversi, punto. Sono una coppia (nel senso più bello e profondo del termine), e si fanno forza insieme, nel cercare un rifugio, che però non sia alienazione dalla società. E' una ricerca della felicità senza clamori, senza fughe in avanti, una ricerca quasi minimalista.

Ed è un gran bel film. Con una azzeccatissima colonna sonora. 7.5 / 10


The 1st post

Questo è il primo post. Lo sto scrivendo la sera di Natale, anche se probabilmente, quando avrò finito di redigerlo sarà già il 26. Lo scrivo questa sera per una ragione espressa: è il 25 Dicembre e ciò che ho di più urgente da fare, è scrivere un blog.
No, non ho passioni.
Una via eufemistica per dire che non esco più con nessuna. Al momento. Ma questo momento dura da mesi. Perché? Oddio, troppo complesso. Sappiate che sono nato 27 anni fa. E sono morto il 1 Settembre 2010, in Germania. O meglio, da quel giorno, sono un "non morto" (non è mia, l'ho rubata!). Certo, respiro, vedo amici, bevo, vedo film, leggo, esco con tipe (sì, prima ho scritto che non uscivo con nessuna. Ma, insomma, c'è uscire ed uscire, no?), pago master inutili, progetto le solite fughe in avanti che mi portano sempre indietro.
Ma non è più una vita decente. Mancano le aspettative. E io, ho sempre e solo vissuto di quelle. me ne sono cibato nelle notti brasiliane di Ubatuba, nelle S-Bahn di München e nei marciapiedi di Graz. Ed ora non le ho più. Aspetto, a volte con ironia, altre con sofferenza che il mio pavido e stanco cuore smetta di battere (sn troppo miserabile per avere un ruolo attivo, nella cessazione delle sue risibili funzioni).
E intanto? Intanto niente. Scrivo perché "quello che conta è scrivere", direbbe Vecchioni.

***

Oggi ho dovuto veder per un attimo una vecchia foto di me e lei. Ho dovuto farlo perché stavo cercando quella che ho usato in questo blog (quella in alto a destra).
Lei era distesa sull'erba e io le ero appoggiato sopra con i gomiti, e scrivevo una poesia.
E ridevamo come pazzi. E eravamo giovani. E belli. E brillanti. E pieni di vita. Non scriverò "e ci amavamo", ma quantomeno, io amavo lei.
E vedendo questa foto (no, non la metterò sul blog. voglio che una delle regole di questo blog sia che A. non appaia [quasi] mai), per 2 secondi, mi son chiesto come fosse possibile avesse deciso di bruciare tutto, e mollarmi com l'ultimo degli scemi. Me lo son chiesto per la 92374esima volta.
E non ho trovato risposte.
Sì, sono l'unico povero mediocre del mondo che è anche un grande narcisista. A me piace essere contraddittorio. In un certo senso, solo gli idioti non lo sono.

***

Bene, vorrei scrivere di aver molte domande e poche risposte, come scriverebbe un fighetto qualsiasi.
Ma io, ormai, vivo il dramma opposto. Ho le risposte: anche quelle che non desideravo conoscere.

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